sisters

Oggi è arrivato quel giorno, il giorno che teniamo fisso in mente ormai quasi da un anno. Quello che, quando per noi qui si concluderà, per una parte bella della nostra famiglia comincerà, dall’altra parte del mondo, con una nuova vita.
Per un fatto, anch’esso della vita, non ci siamo salutati “ufficialmente”. Non siamo lì, all’aeroporto, a dire arrivederci a Ilaria, Luigi, Antonio e Angelica, che vanno a vivere negli States. Però anche questo forse significa qualcosa, perché oggi, di fatto, non ci sono due strade che si dividono, ma una strada sola, grandissima, sulla quale proseguiamo a camminare insieme. E questo, lo dico, è soprattutto grazie a Ilaria, che, sempre alla ricerca caparbia di cose belle e positive, non ha rinunciato nemmeno per un attimo a costruire e a coltivare un legame bello e importante.
Ragazzi, già ci mancate sulla riva del mare, ma una parte del nostro cuore sta partendo con voi e, state sicuri, una parte del vostro resta qui con noi.
Giulia ha pensato a questa canzone per la zia. E come non essere d’accordo?
Ilaria, sono sicura che, ovunque tu andrai, troverai e continuerai a costruire cose belle.

‪#‎sisters‬(inlaw) ‪#‎sharethelove‬ ‪#‎buonviaggio‬

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Intervento al corso di formazione Odg Marche

Grottammare – Teatro dell’Arancio – 29/05/2015

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Ci sono ancora molti, candidati e anche sostenitori, che si fanno vivi sui social network solo quando è ora di chiedere i voti. In questo periodo ad esempio, prima delle elezioni amministrative regionali delle Marche, si moltiplicano su Facebook gli inviti “sospetti”.

Non funziona più. L’effetto novità è finito. E’ inutile comparire su un social con scopi evidentemente interessati e tempestare per un mese il prossimo di pensieri più o meno originali, di buoni propositi, o con la cronaca dettagliata delle fitte giornate del candidato, per poi scomparire a urne scrutinate. Starci non è obbligatorio. Prendere in giro chi dovrebbe votarti non è carino e di sicuro non aiuta a raggiungere l’obiettivo. E’ una questione di reputazione, che si costruisce col tempo, mettendoci la faccia giorno dopo giorno, coltivando le relazioni, partecipando ai dibattiti, rispondendo alle domande, rendendo conto quotidianamente delle proprie azioni. E’ come nella piazza reale: la gente si accorge se sei finto o sincero, se sei capitato lì per caso, se comunichi onestamente o fai solo propaganda. E in base a come ti percepisce ti attribuisce o ti toglie credibilità.

Il questa piazza virtuale si può, dunque, scegliere di scendere oppure no, come in tutte le piazze del mondo, ma il punto è che la presenza sui social network oggi può pagare moltissimo in termini di visibilità (è stato calcolato che una notizia di media criticità raggiunge in quattro ore un numero di contatti pari ai lettori giornalieri dell’edizione stampata di un quotidiano come La Repubblica), e quindi è comprensibile che anche chi non li frequenta mai (o non lo fa assiduamente) non voglia perdersi l’occasione di sfruttare un palcoscenico potenzialmente così redditizio. Allora bisogna almeno seguire alcune regole, se non altro quelle dettate dal buonsenso.

In primo luogo è opportuno avere bene chiara la distinzione tra pubblico e privato. Su Facebook si possono aprire pagine personali oppure pubbliche. Nel caso della pubblicità elettorale è giusto che sia chiara la finalità della pagina, cosa che, peraltro, la legge rende obbligatoria per tutti i casi di pubblicità nei media tradizionali. La trasparenza è dunque una buona prassi anche per i social network, quindi è preferibile, e più elegante, che i candidati scelgano la strada della pagina pubblica dichiarandone esplicitamente la finalità elettorale. In questo modo, piuttosto che chiedere e promettere un’amicizia (quella delle pagine private), che già di per sé è, a volte, sin troppo virtuale, si possono invitare le persone ad apporre il loro “mi piace” con consapevolezza. E questo è senza dubbio un atteggiamento più rispettoso nei confronti dei potenziali elettori. Gli utenti dei social ormai sono disincantati, oltre che iper bombardati da ogni tipo di post. Per essere “interessanti”, e quindi seguiti, è meglio essere chiari, negli intenti e con i messaggi. Non è vero che la verità fa sempre male. Qui, al contrario, non può che fare bene.

hemingway1All’indirizzo http://linkis.com/tumblr.com/zaV7Q c’è La mia prima volta con Fabrizio De André: “una raccolta di testi, perché ognuno ha la sua storia, il suo speciale e unico ricordo di Fabrizio da raccontare. Perché Fabrizio De André fa parte del nostro immaginario collettivo, è un patrimonio storico, italiano e universale”.

Il mio ricordo è delle medie. La professoressa di musica era una ragazza piccolina con i Ray Ban da vista, i capelli lunghi e la chitarra, che aveva rinunciato ad arrivare alla cattedra, vista la completa assenza di disciplina durante le sue ore. Entrava e si sedeva in fondo all’aula, in un angolo vicino alla finestra, faceva l’appello da lì e cominciava a cantare. Tutta roba sconosciuta per la maggior parte di noi, ragazzini di periferia della classe del 1968: De André, Bertoli, De Gregori. Chi voleva faceva casino, chi aveva piacere si metteva lì ad ascoltarla.

Ero cresciuta a suon di Gianni Morandi, Celentano e Massimo Ranieri, ascoltati dai quarantacinque giri che suonavano nel mangiadischi bianco e giallo (non arancione, come ce l’avevano tutti). Poi per la festa dei tredici anni mi avevano regalato uno stereo potentissimo e l’imponenza del macchinario mi aveva spinto a fare una ricerca discografica accurata, perché il mio primo lp avrebbe dovuto essere all’altezza dello strumento. Avevo scelto Making Movies dei Dire Straits.

Quando dunque arrivò in classe la ragazzina con la chitarra, ero pronta per le “novità” e fui affascinata dalla scoperta di questi cantautori che mi sembravano dei giganti. Ad aprirmi la porta furono proprio il silenzio del pescatore e gli occhi enormi dell’assassino-bambino di De André. Mi sembrava di vedere, adagiato sulla spiaggia, quello stesso vecchio magro e scarno, che aveva rughe profonde alla nuca e cicatrici profonde alle mani, “che gli erano venute trattenendo con le lenze i pesci pesanti”.

Avevo cominciato a leggere seriamente con Il vecchio e il mare di Hemingway e ora arrivava il pescatore di De André. E “aveva un solco lungo il viso, come una specie di sorriso”.

Libertà

Pubblicato: 20 febbraio 2015 in musica
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foto“Ti ricordi quando, come si chiama, quel rocker che scrisse La Marsigliese, Jean-Jacques Vattelappesca… ti ricordi quando la sua canzone cominciò a venire trasmessa sempre più spesso, nel 1792, e d’un tratto i contadini si ribellarono e sconfissero l’aristocrazia? Quella è una canzone che ha cambiato il mondo. I contadini avevano solo bisogno di un po’ di grinta. Il resto l’avevano già: schiavitù umiliante, miseria opprimente, debiti schiaccianti, condizioni di lavoro orribili. Ma senza una canzone, ragazzo, tutto questo non voleva dire niente. Lo stile sans-culotte fu quello che cambiò davvero il mondo”.

blogSe hai un blog devi necessariamente tenerlo aggiornato con pubblicazioni a cadenza regolare? Deve assomigliare di più a un giornale, o a un social network, oppure la continuità non è rilevante?

E’ una domanda che mi pongo perché tendo ad adottare la soluzione della discontinuità, ma in essa trovo alcuni elementi negativi. Se uno per caso, ad esempio, capita sul mio blog e vede che l’ultimo articolo è datato un anno fa, considererà questa pagina come affidabile? Al contrario, se l’ultimo post della pagina non è così interessante, ma è breve, veloce, ed esprime idee o semplici domande di qualche interesse, non sarà spinto a proseguire, a ritroso, nella lettura?

Torno a #scritturebrevi e ci associo, ancora una volta, il concetto di #segmenti. La scrittura del web, soprattutto dopo l’evoluzione dei social, possiede questa potenzialità in più: anche una nota veloce ha dignità di pubblicazione e, se non trova posto su facebook e su twitter perché richiede un ambiente più “privato”, che presupponga una precisa scelta di lettura, probabilmente il luogo ideale può essere il blog, che, quindi, è uno strumento di comunicazione e condivisione tuttaltro che superato.

Foto su: http://lullabellz.com/blog/oh-my-blog-hello-were-new-here/

Chi sa fare fa…

Pubblicato: 16 febbraio 2015 in comunicazione
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conferenzaHo visto che ti sei messa a fare la conferenziera… ha commentato un’amica dopo che avevo postato un po’ di foto su facebook che mi ritraevano in una delle occasioni in cui ultimamente ho parlato in pubblico. Devo dire che per me si tratta sempre di esperienze piacevoli e spero sia così, almeno un po’, anche per chi mi ascolta. Ma i prossimi impegni mi mettono più di una preoccupazione.

Condizioni di salute permettendo, visto che mi devo operare a un ginocchio, nei prossimi mesi dovrei tenere alcuni incontri, sulla scrittura dei comunicati stampa, ai corsi di aggiornamento dell’Ordine dei giornalisti. La cosa mi mette un po’ a disagio, perché da quando ho lasciato l’ufficio stampa del Comune di Ancona per fare la responsabile di segreteria dell’assessorato ai Trasporti della Regione Marche, scrivo, sì, pure i comunicati stampa, ma svolgo anche un’attività diversa da quella giornalistica, quindi mi chiedo se alla fine sono proprio io la persona giusta per questo compito. Dunque, pur felice per la fiducia che mi è stata accordata, so che mi sentirò veramente in imbarazzo di fronte a tanti colleghi bravi come e più di me e spero veramente di trovare la formula con cui da questi incontri si possa imparare qualcosa a vicenda.

E’ una bella sfida insegnare agli altri, soprattutto quando si parla di strumenti dei mestieri. Perché, come dice l’adagio, “chi sa fare fa, chi non sa fare insegna”. Io me lo ripeto ogni giorno a mo’ di monito.