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Chi l’avrebbe mai pensato che il concetto di riuso sarebbe arrivato fino ai dati della Pubblica Amministrazione, per superare il principio della trasparenza,ormai più che ventennale e consolidato (almeno sulla carta)? Eppure succede.
Il cittadino-padrone di casa della Pa, che dagli anni ’90 vede garantito il suo diritto di accesso alle informazioni, ai documenti e allo stato dei procedimenti della pubblica amministrazione che lo riguardano, oggi vorrebbe diventare un proprietario ancora più “attivo”, che riusa e manipola le informazioni della stessa amministrazione, anche per scopi diversi da quelli strettamente privati, anche per interessi commerciali.
Alla base c’è proprio un diverso concetto di proprietà e, se vogliamo, possiamo dire di essere arrivati sin qui grazie al fatto che negli anni ‘Novanta abbiamo avuto la possibilità di accedere come proprietari nei luoghi della pubblica amministrazione. Un dato, il cui titolare è una Pa, dovrebbe essere rilasciato come dato aperto indifferentemente a tutti i cittadini in quanto l’Ente pubblico non è altro che una rappresentanza dei cittadini che svolge attività volta alla cura degli interessi della collettività*. E non si tratta, qui, della mera affermazione di un principio rivoluzionario, ma della presa d’atto di una tendenza della quale si può cominciare a tracciare un percorso storico: è la storia degli open data, cioè della liberazione dei dati pubblici.
L’inizio è negli Stati Uniti: a dicembre del 2009 Barack Obama, al suo primo mandato alla Casa Bianca, emana la direttiva sull’Open Government che parla di dati aperti, di formati aperti, di servizi di download dal Web, di riuso. Il Governo inaugura anche il portale Data.gov dedicato all’Open Data, sul quale risulta subito evidente che i dati più richiesti e quindi più scaricati sono quelli geografici. In Italia la prima Regione ad adottare una licenza realmente open è il Piemonte: a maggio del 2010 offre una quantità di dati – geografici e non – sul nuovo portale www.dati.piemonte.it . Anche se con un paio d’anni di ritardo rispetto agli Stati Uniti, il Governo Italiano si accorge delle potenzialità dell’Open Data e nell’autunno 2011 lancia il portale Dati.gov, anche se l’iniziativa non è ancora supportata da una legge nazionale. Nell’autunno dello stesso anno partono analoghe iniziative della Regione Emilia Romagna e dell’Istat. Da quel momento in poi alcune altre Regioni emanano leggi e delibere regionali sul tema. Non mancano Province e Comuni virtuosi e i primi a muoversi tra gli enti centrali sono il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca ed il Ministero della Salute. La legge nazionale arriva in Italia a dicembre 2012 ed è la numero 221, che dedica il comma 9 dell’articolo 9 ai Dati Aperti, introducendo tutti gli elementi fondamentali per l’attuazione: formati, metadati, licenze d’uso, diffusione, riuso, gratuità del dato. La legge stabilisce inoltre l’apertura per default: “I dati e i documenti che le amministrazioni titolari pubblicano, con qualsiasi modalità, senza l’espressa adozione di una licenza di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, si intendono rilasciati come dati di tipo aperto ai sensi all’articolo 68, comma 3, del presente Codice”. Questa importante definizione inverte di fatto il principio in uso nel diritto d’autore italiano che afferma che, salvo diversa indicazione, tutti i diritti sono riservati. Alla legge 221/2012 si affiancano il D.L. 179/2012 e le norme in materia di trasparenza dell’azione amministrativa e di pubblicazione (D.L. 14 marzo 2013, n. 33, recante “riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”). La prescrizione per le PA è chiaramente orientata alla pubblicazione di dati in formati open e liberamente utilizzabili, salvo casi eccezionali da motivare. In questo senso si leggono anche due puntuali indicazioni dell’Agenda Digitale Europea: la action n. 3 (relativa all’indicazione di aprire i dati per il riuso tra le azioni tese a favorire il mercato unico digitale) e la action n. 85 (relativa all’accesso pubblico alla direttiva sulle informazioni ambientali).
A confermare la scelta italiana il 13 giugno 2013 il Parlamento Europeo ha approvato la revisione della direttiva 2003/98/CE del 17 novembre 2003, relativa al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico (direttiva PSI – Public Sector Information). Con tali modifiche si aumenta notevolmente la possibilità di utilizzare i dati pubblici con una logica tipicamente Open Data.
Intanto negli Stati Uniti il 10 maggio 2013 il presidente Obama approva un ordine esecutivo, approvato dal presidente Obama, nel quale si dispone che tutte le agenzie governative dovranno adottare Open Data interoperabili, “machine readble”.
Anche il G8 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Russia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Europea) a giugno 2013 si è espresso a favore dell’Open Data. I membri hanno firmato la Carta Open Data che definisce l’impegno dei Paesi su cinque principi strategici. I membri del G8 hanno anche identificato 14 settori di alto valore per i quali rilasciare dati aperti.
I potenziali riutilizzatori dei Dati Aperti della Pubblica Amministrazione possono essere divisi in due macro-gruppi: coloro che dall’uso di questi dati traggono un beneficio di conoscenza e coloro che ne traggono un beneficio economico. Da un lato si pongono dunque il comune cittadino che attraverso di essi ottiene informazioni utili e controlla il corretto operato della Pubblica Amministrazione, i ricercatori e gli studenti che utilizzano ed elaborano i dati per motivi di studio, i giornalisti che li utilizzano a scopo informativo, le altre Amministrazioni che possono all’occorrenza integrare i propri dati con quelli provenienti da altre fonti pubbliche, senza la necessità di convenzioni ed accordi per il riuso come è successo fino ad oggi. Dall’altro lato si trova un gruppo di utenti che possono usare i dati come facilitazione economica e operativa per il proprio lavoro. Fanno parte di questo gruppo architetti, ingegneri, geometri, geologi, pianificatori, agronomi, e tutti coloro che devono reperire cartografia di base e tematica, di piani e vincoli, dei dati catastali, di sondaggi del sottosuolo), ma anche gli informatici e le aziende che sviluppano software. Quindi l’Open Data non è finalizzato solo alla trasparenza e disponibilità di dati che il cittadino ha contribuito a realizzare pagando le tasse, nonché alla semplificazione delle pratiche tecnico-amministrative, ma anche allo sviluppo economico del mercato, perché sollecita la Pubblica Amministrazione a rilasciare i dati con licenze che consentano il riuso commerciale dei medesimi
Gli Enti che in Italia hanno già reso disponibili Dati Aperti, hanno scelto diverse modalità: dichiarare che tutti i contenuti, compresi i dati e le banche dati, del sito istituzionale sono riutilizzabili con licenza aperta (es. Istat); aprire una sezione del sito istituzionale dedicata ai Dati Aperti (es. Ministero dell’Istruzione Università Ricerca). E’ importante, in ogni caso, che gli Enti stabiliscano un processo virtuoso che consenta di pubblicare dati sempre aggiornati, corretti, esaustivi e di buona qualità. Ciò che è necessario sottolineare, a questo proposito, è la sostanziale differenza fra “disponibilità” ed “apertura” dei dati, che dipende essenzialmente dalla licenza d’uso: per poter essere definita open, quest’ultima deve consentire il più ampio riuso possibile dei dati, anche per finalità commerciali.
La legge 221/2012 stabilisce anche il luogo fisico di pubblicazione: “Le pubbliche amministrazioni pubblicano nel proprio sito Web, all’interno della sezione <Trasparenza, valutazione e merito>, il catalogo dei dati, dei Metadati (descrittori dei dati), e delle relative banche dati in loro possesso ed i regolamenti che ne disciplinano l’esercizio della facoltà di accesso telematico e il riutilizzo”. Al fine di consentire un uso certo, oltre che diffuso e generalizzato e ache una interoperabilità tra i vari sistemi e le varie fonti, il Metadati di un dataset, oltre a contenerne il titolo, la descrizione ed il formato, deve necessariamente contenere altre informazioni indispensabili al riuso, come ad esempio: il sistema di riferimento adottato, il significato degli attributi, la genealogia del dataset (cioè come e perché è stato generato), il grado di aggiornamento, l’accuratezza, l’esaustività e completezza, l’eventuale certificazione, i riferimenti del gestore, ecc. Sembra però che il concetto di Metadati non sia molto noto in quella parte della Pubblica Amministrazione che non si occupa principalmente di dati geografici. Nella rete sono infatti frequenti i casi di descrizioni insufficienti che rendono spesso inutilizzabili i dataset associati. Una criticità è attualmente rappresentata dalla terminologia utilizzata e dalla diversità fra modelli di dati denominati allo stesso modo. Come già precedentemente detto, è necessario un buon intervento normativo in merito, che consenta di definire vocabolari comuni e denominazioni stabili riferite a modelli standard di dati.
Per rendere riutilizzabile un dataset è necessario prevedere più tipologie di servizi di pubblicazione: servizi di consultazione e stampa dei dati con strumenti appropriati e licenza open; possibilità di scaricare il dato in formati non proprietari con licenza open; servizi di interoperabilità geografica con licenza open; servizi di Linked Open Data con licenza open. Alcuni Enti si stanno federando unificando i cataloghi dei dati. La ricerca sui portali federati avviene per mezzo di un indice comune tra i portali che usano la stessa piattaforma (es. Regione Piemonte, Regione Emilia Romagna, ARPA Piemonte) e non esclude la possibilità di accedere a cataloghi sviluppati su altre piattaforme.
Per la realtà italiana si segnalano i portali Dati.gov e DatiOpen.it.
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*Molte delle informazioni presenti in questo post sono tratte da BIALLO, G. (eds.) (2013) – Dati Geografici Aperti – Istruzioni per l’uso. Associazione OpenGeoData Italia, Roma. www.opengeodata.it