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Oggi è arrivato quel giorno, il giorno che teniamo fisso in mente ormai quasi da un anno. Quello che, quando per noi qui si concluderà, per una parte bella della nostra famiglia comincerà, dall’altra parte del mondo, con una nuova vita.
Per un fatto, anch’esso della vita, non ci siamo salutati “ufficialmente”. Non siamo lì, all’aeroporto, a dire arrivederci a Ilaria, Luigi, Antonio e Angelica, che vanno a vivere negli States. Però anche questo forse significa qualcosa, perché oggi, di fatto, non ci sono due strade che si dividono, ma una strada sola, grandissima, sulla quale proseguiamo a camminare insieme. E questo, lo dico, è soprattutto grazie a Ilaria, che, sempre alla ricerca caparbia di cose belle e positive, non ha rinunciato nemmeno per un attimo a costruire e a coltivare un legame bello e importante.
Ragazzi, già ci mancate sulla riva del mare, ma una parte del nostro cuore sta partendo con voi e, state sicuri, una parte del vostro resta qui con noi.
Giulia ha pensato a questa canzone per la zia. E come non essere d’accordo?
Ilaria, sono sicura che, ovunque tu andrai, troverai e continuerai a costruire cose belle.

‪#‎sisters‬(inlaw) ‪#‎sharethelove‬ ‪#‎buonviaggio‬

triolaserragazzitennisjpg ilaria natale natale1 partita partita2 partita3 torta vela

hemingway1All’indirizzo http://linkis.com/tumblr.com/zaV7Q c’è La mia prima volta con Fabrizio De André: “una raccolta di testi, perché ognuno ha la sua storia, il suo speciale e unico ricordo di Fabrizio da raccontare. Perché Fabrizio De André fa parte del nostro immaginario collettivo, è un patrimonio storico, italiano e universale”.

Il mio ricordo è delle medie. La professoressa di musica era una ragazza piccolina con i Ray Ban da vista, i capelli lunghi e la chitarra, che aveva rinunciato ad arrivare alla cattedra, vista la completa assenza di disciplina durante le sue ore. Entrava e si sedeva in fondo all’aula, in un angolo vicino alla finestra, faceva l’appello da lì e cominciava a cantare. Tutta roba sconosciuta per la maggior parte di noi, ragazzini di periferia della classe del 1968: De André, Bertoli, De Gregori. Chi voleva faceva casino, chi aveva piacere si metteva lì ad ascoltarla.

Ero cresciuta a suon di Gianni Morandi, Celentano e Massimo Ranieri, ascoltati dai quarantacinque giri che suonavano nel mangiadischi bianco e giallo (non arancione, come ce l’avevano tutti). Poi per la festa dei tredici anni mi avevano regalato uno stereo potentissimo e l’imponenza del macchinario mi aveva spinto a fare una ricerca discografica accurata, perché il mio primo lp avrebbe dovuto essere all’altezza dello strumento. Avevo scelto Making Movies dei Dire Straits.

Quando dunque arrivò in classe la ragazzina con la chitarra, ero pronta per le “novità” e fui affascinata dalla scoperta di questi cantautori che mi sembravano dei giganti. Ad aprirmi la porta furono proprio il silenzio del pescatore e gli occhi enormi dell’assassino-bambino di De André. Mi sembrava di vedere, adagiato sulla spiaggia, quello stesso vecchio magro e scarno, che aveva rughe profonde alla nuca e cicatrici profonde alle mani, “che gli erano venute trattenendo con le lenze i pesci pesanti”.

Avevo cominciato a leggere seriamente con Il vecchio e il mare di Hemingway e ora arrivava il pescatore di De André. E “aveva un solco lungo il viso, come una specie di sorriso”.

schermo2Ho scritto un libro su Ancona, usando le interviste che si trovano anche in questo blog, nel capitolo “Gente della città”, e alcuni altri post degli ultimi anni (storie sulla grande frana di Ancona, sul terremoto del ’72, sulla Mole Vanvitelliana…). Poi ne ho parlato con Corrado Maggi, un amico fotografo, che mi ha regalato alcune foto, che abbiamo abbinato a ciascun personaggio intervistato. Ora, questo libro ha anche vinto un premio e avrei la possibilità di pubblicarlo on line anche subito, però ci sto pensando un po’ su, per capire quale sia la soluzione migliore per darlo alle stampe, o al web. Nel frattempo, visto che il testo è nato da “segmenti” di vita, di racconti e di città, alcune foto io e Corrado le stiamo già diffondendo, in modo frammentario e spezzettato, in particolare sui social network.

Oggi, inoltre, Paola Ciccioli, una delle amiche che lo hanno rivisto prima della conclusione, con un post su facebook in ricordo di suo padre mi dà l’occasione di pubblicare un altro segmento del mio libro: una parte della postfazione, che è inedita, ed è scritta da lei.

“Cara Margherita, eccomi.
A mano a mano che leggevo le interviste, mi veniva in testa la parola “glocal” e alla fine è il buon Milzi che la pronuncia. Questa è, secondo me, la prima qualità del tuo lavoro: dà cioè il senso di una città geografica e umana, la prima con confini definiti, la seconda che si estende – seguendo il movimento del mondo – oltre ogni delimitazione amministrativa.
La storia che mi è piaciuta di più, Barbara a parte, è quella della parrucchiera libraia, che alla fine chiude un po’ frettolosamentesulle proprie osservazioni critiche.
La parte iniziale, quella della ricostruzione del carattere della città attraverso i resoconti molto dettagliati delle due grandi ferite di Ancona, ha provocato in me piccole (piccole?) scosse e qualche frana emotiva. E, come in un flashback, mi ha riportato all’interno della scuola elementare di Maestà di Urbisaglia dove – non so come, quando e con chi – mi aggiravo bambina tra le brandine che ospitavano gli sfollati.
La parola e l’evento frana, invece, più che ai processi relativi che ho lungamente seguito, mi ha fatto sedere di nuovo su una determinata sedia della Cronaca del Corriere Adriatico dalla quale, al di là del monumentale computer, fissavo notte e dì una finestra che dava sull’unico elemento di vita raggiungibile da quella postazione: “un grumo” di terra eternamente indeciso se rimanere lì sospeso, oltre quella finestra e i neon che la illuminavano. Ose invece staccarsi rovinosamente, seguita da grumi sempre più grossi, seppellendo me, la Cronaca, il Corriere Adriatico e quella specie di deposito polveroso da cui raccontavamo le sorti del capoluogo e della Regione Marche tutta. Sapessi quanto ho temuto quel “grumo”…
Poi. C’è un poi importante. Leggere un qualcosa di così “amorevole” nei confronti di un luogo, di una città, mi ha fatto venire non in testa ma nel cuore un ricordo legato a mio padre. Quando è iniziata la sua fine, l’ho portato a farlo visitare in un ambulatorio vicino all’ospedale di Torrette. Poi gli ho detto: «Dai, prima di tornare a casa, ti faccio vedere una cosa». Mi preparavo a separarmi da lui e volevo regalargli l’immagine di Ancona che è Ancona per me: i traghetti illuminati che sembrano voler abbandonare l’acqua per farsi una passeggiata in centro. Questi condomini viaggianti che, specie in un punto preciso – la strada di fianco alla sede Rai che è di accesso al porto – mettono il muso sulla piazzetta lì di fronte, in una confusione di stati, liquido e terreno, che mi ha sempre destato un moto di stupore e deliziata meraviglia. La stessa meraviglia che ha provato mio padre”.

Questo signore che sorride nella foto non l’ho conosciuto di persona, anzi, a dire il vero conosco anche Paola da poco tempo. Ma da qualche mese mi accompagna questa immagine di meraviglia. Mario per me è il papà delle navi del porto.

 

serena mercantiLa prima cosa che mi ha colpito quando ho conosciuto Serena è stata che nel suo salone c’è una piccola biblioteca. Cioè: mentre ti fai i capelli puoi leggere un libro. Oppure puoi sfogliare gli album di foto dei suoi viaggi, o il catalogo di qualche mostra importante: arte, architettura, cinema… I libri li prendi, li cominci, poi se vuoi prosegui la lettura la volta successiva. Come ho fatto io con Eva Luna della Allende. Eva Luna, che poi è anche il nome (e cognome) della bimba di Serena. Per tutto questo ti viene voglia di farle un po’ di domande. E scopri una bella storia, quella di una ragazza che voleva fare la parrucchiera e che con questo mestiere è cresciuta, fino a coniugarlo con la moda, con l’arte, con lo spettacolo, con l’amore per la città dalla quale ha deciso di farsi adottare.

“La mia storia, Margherita, comincia dove ho passato la mia infanzia, in una casa sulle colline tra Jesi e Santa Maria Nuova. Cosa volevo fare da grande? La parrucchiera, nessun dubbio.  Avevo una buona manualità così iniziai a fare i primi esperimenti casalinghi con cugini e parenti. I primi risultati furono imbarazzanti e ancora dopo anni spesso ci ridiamo su. Capii presto che dovevo studiare la tecnica prima di fare pratica. Durante le vacanze estive e il sabato pomeriggio iniziai ad “andare a bottega” da un parrucchiere che aveva anche un’accademia interna. Finite le medie firmai il mio primo contratto da apprendista parrucchiera. All’epoca la mia professione non era compatibile con lo studio, quindi presi il diploma anni dopo con una scuola serale. A soli vent’anni arrivò l’opportunità di rilevare una piccola parrucchieria ad Ancona, davanti a quella che sarebbe diventata la nuova facoltà di Economia. Supportata dal mio titolare di allora, mi lanciai in quell’avventura. Il primo anno fu veramente difficile perché mi dovevo far conoscere e trovai un secondo lavoro come cameriera per pagare le spese dell’attività. Le clienti che entravano in salone, nonostante l’arredamento estroso e i miei capelli tinti di rosa, uscivano molto soddisfatte. Con il passaparola dopo tre anni avevo assunto quattro dipendenti e mi apprestavo ad inaugurare un nuovo salone, che oggi gestisco con l’aiuto di Azzurra, mia collaboratrice che da quasi due anni é diventata socia. L’attività oggi si snoda in vari settori: servizi nelle case di cura, trucco e capelli nella moda, nel teatro e nel cinema e per ultimo, ma non meno importante, l’innovazione, con l’invenzione di nuovi strumenti di lavoro che hanno portato a due brevetti e a una nuova spazzola commercializzata da Wella”.

Serena Mercanti è anche una viaggiatrice, una donna curiosa ed entusiasta. Che rapporto hai con Ancona?

Amo molto viaggiare e nei miei viaggi mi capita spesso di pensare alla città dove vivo e che mi ha adottata diciotto anni fa. Ancona è come una bella donna che non si cura di sé e che vive di quello che la natura le ha donato ma niente di  più. Possiede delle grandi potenzialità, che sono assopite ma anche pronte ad essere risvegliate. É circondata dal mare e certe mattine girando per il centro si sente l’odore. Lo senti ma non lo vedi, perché sono pochi i punti dove c’è  la vista o l’accesso al mare. In altri paesi, dove valorizzano al massimo anche ciò che non esiste, avrebbero sfruttato questa dote in ogni modo possibile. Le opportunità per cambiare città mi si sono presentate più volte. L’ultima due anni fa, quando mio marito Gian Marco vinse il tanto sospirato posto da ricercatore al CNR di Venezia. Eva, nostra figlia, aveva pochi mesi e abbiamo valutato per un po’  la possibilità di trasferirci. Per il mio lavoro nel settore spettacolo c’erano diverse possibilità. Ma è stato proprio lì che abbiamo capito. Lentamente, senza quasi accorgercene, ci eravamo innamorati di Ancona ed era decisamente il posto dove volevamo vivere. Abbiamo trovato la casa dei nostri sogni vicino al Passetto e Gian Marco fa il pendolare e torna il fine settimana.

Il tuo lavoro ti fa conoscere persone e idee. Secondo te in questa città le persone sono felici?

È la parte più affascinante e che amo di più. Le persone che incontro ogni giorno nel mio lavoro sono una fonte inesauribile di informazioni e di stimoli. Felici? Chi viene da noi certo! Coccoliamo le nostre clienti e le facciamo più belle mentre ascoltano buona musica o leggono un libro dalla nostra libreria sorseggiando un buon caffè. Battute a parte, le persone qui sono felici perché nonostante le difficoltá dovute alla cattiva amministrazione della città negli ultimi anni, si vive ancora bene. Puoi fare cose che ti svoltano e spezzano una giornata stressante e quando lo racconto a chi vive fuori stenta a crederci. Le possibilità sono tante, soprattutto d’estate. Puoi fare il bagno e la colazione la mattina presto al Passetto, prima di andare al lavoro, la pausa pranzo al parco del Cardeto oppure al tramonto l’aperitivo con i moscioli a Portonovo.

E qui, ad Ancona, è nato anche un tuo particolare rapporto con l’arte, passando per il teatro delle Muse, fino ad arrivare allo Sferisterio di Macerata e, tra pochissimi giorni, molto, molto più lontano… 

Lavorare allo Sferisterio era nella mia scatola dei desideri. L’opportunità arrivò con una serie di combinazioni. Accettai un’offerta di lavoro con il team tecnico dello Sferisterio per uno spettacolo con la regia del maestro Pier Luigi Pizzi al teatro Arcimboldi di Milano. Il mio lavoro fu molto apprezzato e visto che anche il reparto delle Muse che io coordinavo era un’esempio virtuoso, come veniva definito dagli addetti ai lavori, dopo pochi mesi arrivò la proposta di gestire come vice responsabile il reparto parrucco di  Macerata. Quest’anno sono stata promossa da vice a responsabile e coordino il lavoro di cinque preziosi collaboratori. Come parrucchieri teatrali lavoriamo alla caratterizzazione dei personaggi, siamo esperti di acconciature d’epoca e trattiamo le parrucche in maniera quasi sartoriale. Ogni sera vanno in scena fino a cento persone, che devono essere preparate in poche ore. L’atmosfera del dietro le quinte è emozione pura e lo Sferisterio è un luogo speciale. Questa bellissima esperienza a ottobre mi porterà fino in Oman, dove andrà in scena, nel teatro di Muscat, la bellissima Traviata degli specchi.

E che cos’è, per te, il teatro delle Muse?

Il teatro delle Muse  di Ancona é stato l’inizio, dove la mia passione é nata e cresciuta. Le opere che sono state allestite e che ho avuto la fortuna di vedere sono state una più bella dell’altra e hanno vinto premi e riconoscimenti importanti sia in Italia che all’estero. Il pubblico era internazionale e arrivava perfino dal Giappone. Dopo le rappresentazioni ricordo che, mentre sfilavo le ultime forcine, li potevo scorgere, in fila, fuori del camerino dei protagonisti per un’autografo. È stato stampato recentemente un libro fotografico molto bello per festeggiare i dieci anni delle Muse e con grande soddisfazione ho scoperto che tutte le acconciature fotografate erano state realizzate da me. Tutti i reparti alle Muse lavorano in maniera eccellente e chi ha cantato qui ci ha sempre riempito di complimenti. Il problema é che, ancora una volta, tutto viene offuscato e strumentalizzato. Spero con tutto il cuore che non sia un’altra ottima occasione persa.

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“Io lo pubblico. Posso?”

“Ma che ne pensi?”

“Se lo pubblico è perché ti ci vedo dentro completamente: passione e competenza”

“Mah… non è bucolico? Comunque, fai quello che credi… tvb”

Io e Barbara Ulisse ci scambiamo decine di sms quasi quotidianamente. Per un suo compleanno importante ho trascitto quelli degli ultimi tre anni e glie li ho regalati. Ne è uscito un racconto fatto di impressioni brevi, di leggerezza, sempre di passione, che dice  le cose della nostra vita, ma anche pezzi di storia di questa città, che ci hanno riguardato da vicino, in virtù di un lavoro che etrambe amiamo molto, quello della comunicazione pubblica. Insieme abbiamo lavorato per anni all’ufficio Stampa del Comune di Ancona, dove lei è rimasta, perché è una donna coraggiosa e tenace. Prima da vicino, ora un po’ più da lontano, condividiamo (credo) l’idea che bisogna arrampicarsi fino in cima a questa città, affacciarsi, guardare giù e innamorarsene. Molto, poi, viene da sé.

Lei su Ancona ha scritto così:

“Lo avverto sempre un attimo prima. Un leggero fremito anticipa il poderoso rilascio di energia dei posteriori che spingono e balzano avanti. Non è il modo migliore per assaporare un territorio, lo so, ma partire al galoppo ha quel tanto di liberatorio per me e di istinto naturale per lui da farne l’andatura più entusiasmante e una scommessa sulla fiducia reciproca. Perché bisogna affidarsi l’una all’altro in quei minuti in cui i filari corrono via velocissimi, nel naso l’odore delle ginestre e della sua criniera, pregando che non scappi fuori un fagiano dal campo di erba medica o che dietro la curva dopo le cave non ci siano i due turisti con la piccozza, come l’altra volta..
Poi rallento.
In sella a Frozen  – il mio quarter horse di dieci anni –  liberare quell’energia è un fatto naturale, come pure imparare la lentezza..
In sella alla sua groppa sudata ho scoperto la mia terra nei colori delle diverse stagioni.
Ancona è lontana. La città è lontana. Sulla campagna del Conero dimentico il contratto sociale e torno un po’ buon selvaggio, per dirla con Russeau.
Ancona è lontana, ma è qui. Dentro le aperture improvvise sul mare, i campi lavorati a cui portare rispetto, il verde del grano che diventa oro, la pietra delle case, i fiori di senape, l’odore di liquirizia dell’elicriso, le ginestre prima che si schiudono, tutti i colori delle viti, i boschi e gli ulivi, gli stradelli lungo i torrenti e sotto l’autostrada..
Ancona è qui nella sua dimensione di confine: il capoluogo si fa Conero, lo spazio è condiviso con altri comuni, il dialetto dei miei compagni di escursione si mescola.
Ancona diventa un’area dei “paesi limitrofi” che da Sirolo arriva a Osimo, lembo di quell’area metropolitana mal riuscita nelle politiche e così ben strutturata nel territorio delle passioni comuni, cucita insieme dagli stradelli dove passano i cavalli.
Attraverso lenta questa terra, sia quando tutto è un po’ bigio e fangoso e gli zoccoli scivolano e tutta la tavolozza della terra e delle foglie  si manifesta nel giallo, nell’ocra. Sia quando la luce radente e ferma di fine giugno la illumina morbida.
Incontriamo contadini e patiti di stormi in migrazione.  Ci salutiamo tutti, in un club immaginario degli sportivi dai mezzi naturali: ciclisti, podisti, golfisti, cavallari.
Potrei fare tutto questo in altro luogo? Oh, beh, anche in Brianza si va a cavallo e il cuoio dei finimenti cigola da secoli nel silenzio della Maremma.
Però non ci sarebbero queste colline di girasoli, i ciottoli freschi dei sentieri ombrosi sotto Pian Grande, l’anello della Pecorara pieno di more, i grappoli di rosso che inducono a ipotesi di gradazione anche ai non enologi, i cucuzzoli da presepe come Massignano, Mezzavalle deserta d’inverno, l’unico rumore gli zoccoli sulla spiaggia. Non ci sarebbe tutto questo dentro un capoluogo di regione. Non ci sarebbero il buon selvaggio e il contratto sociale, insieme”.

#TwitAncona? Il #Conero a cavallo: area metropolitana delle passioni

172040_10150148881312317_1641360_oConsideriamolo un anconetano temporary. Si è trasferito in città per motivi di lavoro nel 2004, dopo il periodo universitario a Macerata. Io l’ho conosciuto un sabato mattina, quando mi è venuto a trovare in ufficio, magrissimo, con il marsupio allacciato in vita, il sorriso stampato in faccia, e un carico di lavoro non da poco. Si dovevano organizzare i campionati europei master di atletica leggera al Palaindoor, impianto unico in Europa, all’epoca nuovo quasi di zecca per la città, pronto per ospitare questo evento che doveva essere memorabile. Io all’ufficio stampa del Comune, lui a quello della Fidal Marche, abbiamo cominciato a lavorare, giorno dopo giorno, passo dopo passo, con allegria, con pazienza e a volte sclerando un po’. Sempre attenti alla qualità di ciò che facevamo. E’ quest’ultimo aspetto quello che ricordo con più piacere, e con un po’ di nostalgia, di quel periodo.

Ho capito subito che si volava alto. Inutile dire che è stato così, per questo e per molti altri eventi, altrimenti Alessio Giovannini, oggi in forze all’ufficio stampa della Federazione italiana di atletica leggera a Roma, non starebbe qui, tra quelli di cui voglio raccontare un pezzo di storia, quella che li incrocia, in modo interessante, con la città di Ancona.

Questa è un’intervista a quattro mani, perché sia io sia lui scriviamo per mestiere. E siamo abituati a unire le forze, quando si può.

La tua prima impressione di Ancona quando sei arrivato? Ancona comunque non era un mondo altro per me, visto che per ragioni varie – come molti marchigiani, credo – fin da piccolo la frequentavo più o meno saltuariamente. L’impressione del mio approdo “domiciliare” è stata quella di un posto molto tranquillo, comodamente incastrato nella sua “routine”, ma che ai “non-anconetani” non mostra subito il suo lato migliore.

Sei andato a vivere a Pietralacroce, quartiere storico e vip. È stata una scelta casuale?
Pura casualità merito di un’agenzia immobiliare che in due giorni mi ha scovato la bella casetta dove ho sono stato per 5 anni. Solo dopo ho scoperto di abitare nel cosidetto “quartiere della fettina”. In realtà per me comune mortale precario, vista la zona, era stata proprio un’ottima occasione e sinceramente ora che vivo a Roma rimpiango parecchio quel canone d’affitto…

Hai inaugurato il Palaindoor, impianto quasi unico in Europa, e poi l’hai visto vivere. Occasioni colte? Occasioni perse?
Ho visto spuntare su il Palaindoor dalla prima pietra. Quando a molti sembrava un’idea folle. Oggi è un impianto che è un tesoro dell’atletica italiana, senza il quale negli ultimi anni sarebbe stato davvero problematico svolgere attività al coperto. Ancona a livello organizzativo si è fatta trovare sempre pronta e all’altezza della situazione. Forse per altri aspetti è mancata un po’ di visione “destruttur-attiva” dell’impianto che non può essere visto come una semplice pista d’atletica sotto un tetto. Ci sono potenzialità da esplorare. E’ difficile, ma bisognerebbe provarci.

Al Palaindor Ancona ha vissuto l’avventura degli europei master di atletica nel 2009. Ce li siamo meritati?
Sicuramente ce li siamo sudati. Sono stati un grande evento, oltre l’aspetto prettamente agonistico. In giro per l’Europa ancora ce lo riconoscono, perchè Ancona2009 ha creato un nuovo modello organizzativo per questo genere di manifestazioni. Tant’è che due anni fa la Federazione Europea avrebbe voluto che la rassegna continentale tornasse nel capoluogo dorico. Il rammarico che, a distanza di tempo, ancora mi resta è che una certa parte della città (malgrado dell’evento si fosse parlato a lungo a partire dal 2006!!!) si fosse accorta di queste 6.000 persone in arrivo da tutta Europa solo quando tutto era ormai già partito. Peccato.

Quando vivevi qui a cosa ti eri affezionato? In che cosa ti riconoscevi?
Mi ero affezionato soprattutto alle persone, anzi agli amici, tantissimi, che qui ho trovato. E poi la familiarità di certi posti: il Viale della Vittoria, Piazza del Papa, San Ciriaco e, quattro passi più in là, Portonovo. Ci torno sempre volentieri. Mi riconosco nella “discrezione” che appartiene al carattere di questa città e delle Marche tutte, nel suo essere inizialmente “guardingo” per poi mostrare il lato più tenero che sta sotto il guscio testardo del “mosciolo”.

Ti manca qualcosa di Ancona?
Non sono un fanatico del mare, ma ad Ancona mi piaceva molto l’idea di affacciarmi o di fare un semplice giro per trovarmelo di fronte in un attimo. Quando c’è burrasca poi, visto dal Passetto, è ancora più divertente.

Com’è, vista da lontano?
E’ la città del tempo lento. Nel bene e nel male del significato di questa espressione. Magari con la giusta sferzata, il motore cambierebbe marcia. Ancona se lo merita. Perché è il capoluogo della Regione nella quale sono fiero di essere nato. Perchè è una città piena di tesori d’arte e di storia che non tutti conoscono. Perchè anche la tradizione è un patrimonio purchè non resti impolverato.

Torneresti?
Chi lo sa?

Mi fai un #twitAncona su Twitter?
OK: #twitAncona è bello anzi bullo un bel po’! 🙂

cristinaUna città ha la forma delle persone che la vivono. Io ne cerco alcune in particolare: cerco la foresta che cresce, perché mi sono stancata del rumore degli alberi che cadono. Così ho pensato a Cristina. Mi ricordo di lei ai tempi di Buon Gusto Marche, la rivista culturale alla quale abbiamo collaborato entrambe per un breve periodo. Ci siamo frequentate poco, però la ricordo per il sorriso e per il suo silenzio competente, virtù di pochi. L’ho ritrovata in rete, su Facebook, impegnata con la petizione per la rimozione della statua Violata.

Cristina Babino non ha ancora quarant’anni, ma ha all’attivo viaggi, lavori ed esperienze culturali che molti non fanno in una vita intera. Se volete saperne di più, guardate qui, qui e qui.

“Sono nata ad Ancona – racconta – ho compiuto studi linguistici alle scuole superiori e mi sono laureata al DAMS di Bologna. Mi interessano le arti, in particolare l’arte visiva, la scrittura e la traduzione”. Dopo la laurea è andata all’estero, “per necessità – dice – e per scelta: necessità di fare un’esperienza di lavoro seria e stabile, cosa che nella mia città non mi era stata possibile, e scelta di conoscere e vivere culture diverse, di aprire la mente a nuove esperienze. Non ho abbandonato la speranza di poter tornare, un giorno, ma almeno per i prossimi anni non ne vedo i presupposti purtroppo”. Così nasce il suo twit per Ancona, quello che chiedo a tutte le persone con cui mi confronto sulla città: “#twitAncona la mia casa a cui spero un giorno di tornare”.

“Nel 2005 – prosegue – stanca delle condizioni sempre precarie del lavoro, ho deciso (non con leggerezza) di trasferirmi in Inghilterra, a Bristol, dove per alcuni anni sono stata impiegata di una multinazionale. Quindi nel 2008, vista una possibilità che si era aperta per mio marito, ci siamo trasferiti in Francia, ad Antibes. Dopo la nascita di mia figlia ho cominciato ad occuparmi più stabilmente di traduzione, dall’inglese e dal francese. Attualmente sto traducendo per l’editore Vydia una raccolta del poeta americano John Taggart, e sarà il primo suo volume mai apparso in Italia”.

E a questo punto cosa resta di Ancona?: “E’ la mia città e sempre lo resterà. Poche persone, credo, restano attaccate alle proprie radici come quelle che se ne vanno. Amo i suoi scorci, la sua bellezza dissimulata e sorprendente, amo profondamente il suo mare (e se mi guardo indietro mi accorgo di essere sempre vissuta vicino al mare, nonostante tanto girovagare. Un motivo ci sarà!). Ogni volta che ne ho la possibilità mi adopero per far conoscere ai miei amici che vengono da fuori le ricchezze che la città custodisce. E tutti restano, immancabilmente, sorpresi ed entusiasti. Ad Ancona ci sono la mia famiglia, i miei amici e i miei parenti. Tengo anche molto a che mia figlia, che è nata in Francia, conosca i luoghi da cui veniamo. E nonostante il suo già spiccato accento francese, è bello sentirla pronunciare delle parole in anconetano dopo aver passato qualche giorno in città. E’ musica per le mie orecchie!”

E quando torni noti che Ancona è cambiata? “Da qualche anno a questa parte, ogni volta che torno, la trovo cambiata, e non in meglio: più sporca, degradata, specie in alcuni quartieri che mi sembrano ormai al limite della vivibilità, lasciata a se stessa. In via Torresi,solo per fare un esempio, vicino alla mia casa materna, trovo da tempo immemorabile ormai un muro crollato a ridosso del marciapiede. Sta puntellato malamente da anni, ed era così ancora poche settimane fa, quando sono ritornata. Alcuni cittadini per protesta hanno attaccato un lenzuolo con scritto “rivogliamo i marciapiedi”. Ecco, credo che questa, per i cittadini, sia una grande umiliazione. Dover protestare per riavere un marciapiede agibile che non costringa a scendere sulla carreggiata rischiando di essere investiti per percorrere la propria via. E mi chiedo come possa un’amministrazione non fare di tutto per mettere mano a certi problemi urgenti ed evidenti in tempi accettabili. Questo è solo un piccolo esempio, ma significativo, della situazione di generale abbandono e incuria in cui versa la città. Una situazione che poi si ripercuote inevitabilmente anche sulla vita sociale e culturale”.

Per questo motivo ti sei dedicata con così tanto impegno alla raccolta di firme nella petizione per la rimozione della statua Violata? “Quando ho saputo della notizia che ad Ancona si sarebbe eretto un monumento dedicato alle donne vittime di violenza sono rimasta positivamente colpita. Poi ho visto un video e delle immagini che ritraevano la statua e sono rimasta basita. Non potevo credere che quell’opera fosse stata scelta proprio come simbolo di un tema tanto drammatico, urgente e delicato. Al di là di qualsiasi giudizio estetico, che ciascuno può legittimamente formulare, penso che quella statua non faccia che riproporre l’immagine stereotipata della donna come semplice preda sessuale, resa ancor più accattivante dall’esibizione ad hoc delle sua nudità, riducendo la violenza di genere al solo stupro, quando le cronache ci indicano che il fenomeno è molto più complesso e articolato e si manifesta in una molteplicità di atti oppressivi della libertà e della dignità della donna, che quest’ opera, semplicemente, non riesce in alcun modo a cogliere e quindi a veicolare. La sua collocazione sulla rotatoria, oltretutto, non consente, neanche sforzandosi, la minima riflessione: sfrecciandoci davanti in mezzo al traffico cittadino dubito che qualcuno si senta chiamato in causa”.

“Il mio pensiero personale – prosegue Cristina – sarebbe rimasto tale se poi non mi fossi accorta che moltissime altre persone la pensavano come me. Quando sono arrivata sul gruppo facebook che chiedeva la rimozione della statua i partecipanti erano già quasi 900, cittadini anconetani e non. Poi mi sono confrontata con una donna che mi è molto cara, Francesca Baleani, una persona meravigliosa piena di forza e dignità che anni fa ha subito un atto di inaudita violenza da cui è riuscita miracolosamente a salvarsi, e ci siamo ritrovate a pensarla allo stesso modo, a provare le stesse sensazioni di rabbia e offesa per l’esito di questa iniziativa. Quindi ho deciso di avviare la petizione online per vedere quante persone effettivamente, oltre a commentare su facebook, erano disposte a mettere la firma per questa protesta, che non è assolutamente contro l’artista o la statua in sé (per la quale chiediamo un’altra sede, anche museale, quindi massimo del rispetto!), come abbiamo ripetuto fino allo sfinimento, ma contro questa statua come simbolo imposto sulla collettività e invece evidentemente non condiviso, neanche da tante donne vittime di violenza, che ci hanno personalmente ringraziato per aver avviato questa protesta”.

La risposta delle istituzioni? “Forse io vivo all’estero da troppi anni e mi stupisco per cose che in Italia vengono considerate “normali”, ma per l’esperienza che ho avuto all’estero non esiste che un cittadino, anche uno solo, si rivolga a un’istituzione o a un esponente politico senza ottenere alcuna risposta diretta, qualunque essa sia. E’ una questione di civiltà e spero che in Italia prima o poi le istituzioni e le classi dirigenti se ne accorgano. Quando ho avviato la petizione, non avrei mai pensato di mettere insieme più di qualche centinaio di firme. Non sono che una sconosciuta semplice cittadina del resto, per di più residente all’estero da anni. Senza dubbio le priorità per Ancona sono molte e vanno affrontate con urgenza, ma banalizzare un tema attuale e gravissimo come la violenza di genere e la sua rappresentazione simbolica, è una leggerezza fatale. In pochi giorni siamo arrivati a mille firme e oggi siamo a 2050: da Ancona, dalle Marche e da tutta Italia. Hanno firmato molti intellettuali,giornalisti, scrittori, artisti e soprattutto molte donne vittime di violenza, familiari di donne che sono decedute per mano violenta e una quindicina di associazioni e centri antiviolenza, professionisti che si battono quotidianamente contro questo terribile fenomeno e che sanno benissimo quali sono le priorità e gli interventi che esso richiede con urgenza”.

E ora cosa ti aspetti? “che la prossima amministrazione – se non le istituzioni che hanno promosso l’operazione Violata (cosa che sarebbe oltremodo auspicabile, visto il ruolo che sono chiamate a ricoprire) – si dimostri aperta al dialogo sulla questione e disponibile a trovare insieme una soluzione che sia il più possibile condivisa con la cittadinanza, e non più imposta. Se rapportarsi con le istituzioni locali è stato sin qui decisamente deludente, questa vicenda mi ha dato modo di conoscere, e in qualche caso riscoprire, molte persone di grande valore e sensibilità e che voglio ringraziare : Alessandra Carnaroli, che con me è promotrice della petizione e che conoscevo prima solo attraverso la sua scrittura, Luigi Socci, che si è dimostrato da subito molto attento alla questione, le creative Luna Margherita Cardilli e Ljudmilla Socci, e poi Emanuela Ghinaglia ed Elena Pascolini, che si sono adoperate molto per portare avanti la protesta. Cito qua solo le persone con cui ho avuto maggiore scambio, sapendo di fare torto (e me ne scuso!) a moltissime altre che ci hanno sostenuto a vario titolo. Ancona, nonostante sembri spesso una città sonnolenta e sconnessa, che si lascia vivere e negli ultimi anni quasi un po’ morire, ha delle grandi potenzialità e risorse da valorizzare (a livello culturale penso ad esempio alle belle rassegne organizzate alla Mole o il Festival La Punta della Lingua) e gran parte di queste passano anche per le tante persone capaci, competenti e impegnate, molte delle quali giovani, che vi risiedono. E’ un patrimonio da far fruttare e sono convinta che anche attraverso la possibilità di farle contribuire attivamente passi il futuro prossimo di Ancona.