Oggi è arrivato quel giorno, il giorno che teniamo fisso in mente ormai quasi da un anno. Quello che, quando per noi qui si concluderà, per una parte bella della nostra famiglia comincerà, dall’altra parte del mondo, con una nuova vita.
Per un fatto, anch’esso della vita, non ci siamo salutati “ufficialmente”. Non siamo lì, all’aeroporto, a dire arrivederci a Ilaria, Luigi, Antonio e Angelica, che vanno a vivere negli States. Però anche questo forse significa qualcosa, perché oggi, di fatto, non ci sono due strade che si dividono, ma una strada sola, grandissima, sulla quale proseguiamo a camminare insieme. E questo, lo dico, è soprattutto grazie a Ilaria, che, sempre alla ricerca caparbia di cose belle e positive, non ha rinunciato nemmeno per un attimo a costruire e a coltivare un legame bello e importante.
Ragazzi, già ci mancate sulla riva del mare, ma una parte del nostro cuore sta partendo con voi e, state sicuri, una parte del vostro resta qui con noi.
Giulia ha pensato a questa canzone per la zia. E come non essere d’accordo?
Ilaria, sono sicura che, ovunque tu andrai, troverai e continuerai a costruire cose belle.
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Sisters (in law) – appunti di famiglia nel secondo giorno d’estate
Pubblicato: 22 giugno 2015 in donne, luoghi, mareTag:amici, famiglia, figli
Mi devo ricordare di fare attenzione alle persone che frequento, perché poi ci rimango male se mi accorgo che sono sceme.
Gente della città/5 – Sospesa nel tempo, addormentata sul golfo
Pubblicato: 25 giugno 2013 in comunicazione, luoghi, musica, personaggi, Senza categoriaTag:amici, Ancona, Cardeto, città, cultura, eventi, giornalismo, idea, informazione, integrazione, istituzioni, politica, Porta Pia, scrittura, storia
Cominciamo dai soprannomi: il più recente è Indiana Milzi. Il motivo lo trovate qui e se non avete quaranta minuti per guardare questo speciale di E’Tv Marche, trovateli, perché in questa intervista di Maurizio Socci a Giampaolo Milzi, direttore del mensile Urlo, del webzine Fatto & Diritto e collaboratore del Messaggero, c’è molto di Ancona. Anzi, di più. Giampaolo Milzi è un profondo conoscitore della città, soprattutto della città coperta: sotterranei, monumenti sepolti dagli sterpi, tracce storiche sommerse dall’erba. Ascolta, studia, scopre, ritrova, ricostruisce le storie e la storia. Sentirlo parlare di tutto questo è un piacere. Ma chi non lo conosce e legge fino a qui può farsi un’idea sbagliata, quindi è bene introdurre subito il suo soprannome storico: Giamburraska, che è anche la sua firma per gli editoriali di Urlo.
Urlo, appunto: quest’anno compie vent’anni. “Il numero zero – racconta Milzi – è del febbraio 1993 e da marzo ’93 a oggi sono usciti 202 numeri”. Così il giornale è diventato, a suo modo, un pezzo di città, direi il regalo di Milzi alla città, con una identità netta, sia nel vestito sia nei contenuti. E’ in controtendenza già per il formato: dodici o quattordici pagine “grandi” per dare spazio alle immagini e ai contenuti, per contenere le inchieste e gli approfondimenti, che sono la sua vocazione, in una sola pagina. E’ in bianco e nero, con la prima e l’ultima in bianco, nero e magenta: ha un suo carattere, si riconosce, ci mette la faccia. Infatti si caratterizza anche per la scelta precisa dei contenuti: “Non scriviamo le cose di cui già parlano gli altri, a meno che non siano da approfondire. Il taglio è glocal, il non locale collegato al locale, da sempre, da prima ancora che questo concetto diventasse di dominio comune”. In particolare colpiscono gli articoli, lunghi direi per scelta, di quelli che non offrono scorciatoie al lettore e che li leggi solo se ti interessa il contenuto: una storia mai sentita prima, una scoperta, una denuncia, una causa da sostenere. Si direbbe che, in quanto giornale di parte (perché sceglie i suoi argomenti e conduce le sue battaglie), corre il rischio di non essere imparziale, se non fosse poi che da questa palestra sono usciti finora alcuni tra i migliori giornalisti della città. Al momento ci sono almeno tre o quattro bravi colleghi impegnati nelle pagine politiche e culturali dei quotidiani locali. “Bisognerebbe chiedere a loro – butta là Milzi – un’opinione su Urlo”. Già, cosa direbbero?
Giamburraska, dunque, forse nasce ufficialmente nel 1993 e qui posso raccontare solo una piccola parte della sua storia. Per il resto ci vorrebbe più di un post, perché dovrei dire delle sue serate nei locali, nei circoli, al mare, come dj, con la musica, vintage come la sua Vespa TS del ’75 bianca e verde di nome Wispy. E anche di quando, tra l’85 e il ’90, metteva su il rock a Radio Marche Ancona e poi di Radio Studio 24 e Radio Punto 2, ma anche del suo continuo impegno a fianco dell’associazionismo e del volontariato della città, dell’incursione giornalistica al G8 di Genova, dove ha raccolto una delle primissime testimonianze (di un’infermiera volontaria) sulle cause della morte di Carlo Giuliani, “poi trasmessa la sera stessa da Bruno Vespa”, e anche delle sue numerosissime querele, la maggior parte per diffamazione a mezzo stampa, “quasi tutte risolte bene, altrimenti non starei qui a parlare con te”.
Ma torniamo al 1993. “Il ’93 – dice Milzi – è l’anno che segna l’inizio della fine nella qualità dell’informazione. Finisce l’onda lunga degli anni ’80, in cui si ristrutturarono le Tv private e si aprirono nuovi quotidiani. Io ho cominciato come vittima collaterale della Tangentopoli locale: nel gennaio del ’93 ci fu il fallimento delle Edizioni locali di Edoardo Longarini, che portò, tra l’altro, alla chiusura della Gazzetta di Ancona, dove ero diventato professionista, e di Galassia Tv. Di lì la mia scelta di vita: continuare a vivere di questo lavoro facendo il freelance. Così a trent’anni fondai Urlo. Dopo il ’93, con l’era di Internet, al boom della quantità di notizie non ha corrisposto il boom della qualità. Internet, però, ha portato alla rivoluzione della realizzazione del prodotto mediatico di carta stampata, con due aspetti positivi: l’utente a poteva interagire e diventare attore dell’informazione e diventava concreta la possibilità di realizzare prodotti di informazione in autonomia. Nasce qui, infatti, la free press”. E’ seguendo queste tendenze che Urlo afferma, negli anni, sul campo, la capacità di influenzare l’opinione pubblica: “I nostri temi sono la cultura, il disagio, le devianze, l’ambiente, la sostenibilità e le nuove fonti energetiche, le problematiche giovanili, ma anche la memoria storica e la riappropriazione degli spazi, la democrazia partecipata. Spesso le questioni che poniamo diventano oggetto di dibattito”. E sempre più di frequente l’ideatore di Urlo è interpellato come esperto sulle singole questioni, soprattutto per la conoscenza della città, che da vent’anni racconta nelle pagine del suo giornale.
Come racconteresti la classe politica di Ancona? “La classe politico-istituzionale è stata progressivamente sempre meno all’altezza della situazione. Non abbiamo avuto, fortunatamente, gravi questioni morali, ma inadeguatezza nella capacità amministrativa sì. La carenza di capacità politica è trasversale: l’opposizione non è virtuosa e non c’è la capacità di andare al governo. C’è una carenza di approccio rispetto alla gestione della città, c’è un pensiero chiuso rispetto a questo. Il dibattito sulla vocazione turistica di Ancona, per esempio, è diventato una barzelletta che fa piangere”.
Qui ci sta bene il twit per Ancona, che chiedo a tutti e che veramente non ho chiesto a Milzi, ma la frase che ho scelto per Twitter è questa: “La bellissima addormentata, narcotizzata, sul golfo, aspetta il principe azzurro”. “Di Ancona ti innamori. Si corre il rischio di generalizzare, però l’anconetano medio è conservatore, poco curioso, tende a vedere il bicchiere mezzo vuoto e per questo ha paura di mettersi in gioco”. Gli anconetani buoni però ci sono, e sono quelli che hanno creato “situazioni interessantissime, ma, secondo il principio base del nemo profeta in patria, rischiano l’isolamento”. E poi, c’è “molto piagnucolio, che deriva dalla disinformazione. L’anconetano spesso si dimentica della possibilità di riempire l’altra metà del bicchiere”.
Cosa c’è in quest’altra metà, quella buona? “C’è la vivacità dell’associazionismo, c’è uno dei rapporti più alti in Italia verde/abitante e, quindi, c’è il Cardeto, che l’ha fatto crescere e che ancora ha molto da valorizzare, c’è la Casa delle Culture, nata dal coordinamento di tante realtà dell’associazionismo locale all’interno di un ex Mattatoio, che però è anche il bicchiere mezzo vuoto, perché è una struttura abbandonata al 90%, c’è una Mole che è rinata ma per la quale ora occorre affrontare la problematica di un utilizzo adeguato, c’è Porta Pia, che ha un destino simile in quanto a destinazione d’uso. Ci sono buon senso dell’accoglienza e una buona qualità della vita, nonostante la carenza nel campo delle manutenzioni”.
E nel bicchiere mezzo vuoto? “Dopo il minimo storico del 1972 (con il terremoto e le sue conseguenze n.d.r.), la città è migliorata sempre, ma bisogna stigmatizzare e denunciare nel contempo la lentezza dei processi. I tempi si allungano in maniera incredibile per qualsiasi tipo di situazione. Ancona è sospesa nel tempo. Sembra che tutto sia immutabile. Per vedere il cambiamento bisogna avere un colpo d’occhio lungo almeno dieci anni. Manca lo spirito del cogliere le opportunità. Siamo all’anno zero per il turismo, per la valorizzazione dei beni culturali e architettonici, per gli incentivi alla ricerca, per le sinergie tra gli enti istituzionali. Ancona è la città degli spazi negati. Nonostante ci sia stata una progressiva riacquisizione, ci sono alcuni illustri caduti sul campo, tipo il parco della Cittadella, dove non si fa più nulla da anni. Ricordo Cittadella Live, con la musica nel parco a partire dal ’94: è sopravvissuta alcuni anni, poi nulla”.
Certo: la musica, Giamburraska e questa città. Che dire? “La musica continua a essere la colonna sonora della mia vita, nonostante il regolamento acustico ad Ancona sia da Medioevo. A Piazza del Papa si impedisce ai locali di fare musica percepita fuori, quando il rumore della gente che chiacchiera nello stesso luogo produce più decibel. E la gente comincia le feste sulla spiaggia di Palombina, per poi terminarle a Falconara, dove si può suonare più a lungo nella notte”.
Non solo, dunque, la Bella addormentata. Abbiamo anche la sindrome di Cenerentola.
Gente della città/3 – E’ bello, anzi bullo un bel po’!
Pubblicato: 17 giugno 2013 in comunicazione, luoghi, mare, personaggi, Senza categoria, sportTag:amici, Ancona, blog, città, giornalismo, istituzioni, Marche, Portonovo, Roma, scrittura, Ufficio stampa
Consideriamolo un anconetano temporary. Si è trasferito in città per motivi di lavoro nel 2004, dopo il periodo universitario a Macerata. Io l’ho conosciuto un sabato mattina, quando mi è venuto a trovare in ufficio, magrissimo, con il marsupio allacciato in vita, il sorriso stampato in faccia, e un carico di lavoro non da poco. Si dovevano organizzare i campionati europei master di atletica leggera al Palaindoor, impianto unico in Europa, all’epoca nuovo quasi di zecca per la città, pronto per ospitare questo evento che doveva essere memorabile. Io all’ufficio stampa del Comune, lui a quello della Fidal Marche, abbiamo cominciato a lavorare, giorno dopo giorno, passo dopo passo, con allegria, con pazienza e a volte sclerando un po’. Sempre attenti alla qualità di ciò che facevamo. E’ quest’ultimo aspetto quello che ricordo con più piacere, e con un po’ di nostalgia, di quel periodo.
Ho capito subito che si volava alto. Inutile dire che è stato così, per questo e per molti altri eventi, altrimenti Alessio Giovannini, oggi in forze all’ufficio stampa della Federazione italiana di atletica leggera a Roma, non starebbe qui, tra quelli di cui voglio raccontare un pezzo di storia, quella che li incrocia, in modo interessante, con la città di Ancona.
Questa è un’intervista a quattro mani, perché sia io sia lui scriviamo per mestiere. E siamo abituati a unire le forze, quando si può.
La tua prima impressione di Ancona quando sei arrivato? Ancona comunque non era un mondo altro per me, visto che per ragioni varie – come molti marchigiani, credo – fin da piccolo la frequentavo più o meno saltuariamente. L’impressione del mio approdo “domiciliare” è stata quella di un posto molto tranquillo, comodamente incastrato nella sua “routine”, ma che ai “non-anconetani” non mostra subito il suo lato migliore.
Sei andato a vivere a Pietralacroce, quartiere storico e vip. È stata una scelta casuale?
Pura casualità merito di un’agenzia immobiliare che in due giorni mi ha scovato la bella casetta dove ho sono stato per 5 anni. Solo dopo ho scoperto di abitare nel cosidetto “quartiere della fettina”. In realtà per me comune mortale precario, vista la zona, era stata proprio un’ottima occasione e sinceramente ora che vivo a Roma rimpiango parecchio quel canone d’affitto…
Hai inaugurato il Palaindoor, impianto quasi unico in Europa, e poi l’hai visto vivere. Occasioni colte? Occasioni perse?
Ho visto spuntare su il Palaindoor dalla prima pietra. Quando a molti sembrava un’idea folle. Oggi è un impianto che è un tesoro dell’atletica italiana, senza il quale negli ultimi anni sarebbe stato davvero problematico svolgere attività al coperto. Ancona a livello organizzativo si è fatta trovare sempre pronta e all’altezza della situazione. Forse per altri aspetti è mancata un po’ di visione “destruttur-attiva” dell’impianto che non può essere visto come una semplice pista d’atletica sotto un tetto. Ci sono potenzialità da esplorare. E’ difficile, ma bisognerebbe provarci.
Al Palaindor Ancona ha vissuto l’avventura degli europei master di atletica nel 2009. Ce li siamo meritati?
Sicuramente ce li siamo sudati. Sono stati un grande evento, oltre l’aspetto prettamente agonistico. In giro per l’Europa ancora ce lo riconoscono, perchè Ancona2009 ha creato un nuovo modello organizzativo per questo genere di manifestazioni. Tant’è che due anni fa la Federazione Europea avrebbe voluto che la rassegna continentale tornasse nel capoluogo dorico. Il rammarico che, a distanza di tempo, ancora mi resta è che una certa parte della città (malgrado dell’evento si fosse parlato a lungo a partire dal 2006!!!) si fosse accorta di queste 6.000 persone in arrivo da tutta Europa solo quando tutto era ormai già partito. Peccato.
Quando vivevi qui a cosa ti eri affezionato? In che cosa ti riconoscevi?
Mi ero affezionato soprattutto alle persone, anzi agli amici, tantissimi, che qui ho trovato. E poi la familiarità di certi posti: il Viale della Vittoria, Piazza del Papa, San Ciriaco e, quattro passi più in là, Portonovo. Ci torno sempre volentieri. Mi riconosco nella “discrezione” che appartiene al carattere di questa città e delle Marche tutte, nel suo essere inizialmente “guardingo” per poi mostrare il lato più tenero che sta sotto il guscio testardo del “mosciolo”.
Ti manca qualcosa di Ancona?
Non sono un fanatico del mare, ma ad Ancona mi piaceva molto l’idea di affacciarmi o di fare un semplice giro per trovarmelo di fronte in un attimo. Quando c’è burrasca poi, visto dal Passetto, è ancora più divertente.
Com’è, vista da lontano?
E’ la città del tempo lento. Nel bene e nel male del significato di questa espressione. Magari con la giusta sferzata, il motore cambierebbe marcia. Ancona se lo merita. Perché è il capoluogo della Regione nella quale sono fiero di essere nato. Perchè è una città piena di tesori d’arte e di storia che non tutti conoscono. Perchè anche la tradizione è un patrimonio purchè non resti impolverato.
Torneresti?
Chi lo sa?
Mi fai un #twitAncona su Twitter?
OK: #twitAncona è bello anzi bullo un bel po’! 🙂
#scritturebrevi e DONNE DELLA REALTA’
Pubblicato: 28 marzo 2013 in comunicazione, donneTag:amici, blog, cultura, giornalismo, informazione, libri, maschilismo, Paola Ciccioli
Grazie alla collega Paola Ciccioli, che oggi ha ospitato un mio post sul blog Donne della realtà.
Qui potete leggere che tipo di donna della realtà è Paola Ciccioli (se non la conoscete già) e, vi garantisco, vale la pena di dare un’occhiata.Il mio post lo potete leggere qui:
#scritturebrevi per arrivare al cuore
Ed ecco le donne della realtà:
“Dove sono finite le donne che lavorano, che studiano, che coltivano i sogni con la fatica, che cercano di non piegarsi alla precarietà?
Sono scomparse o quasi dai media italiani.
Altri sono i modelli imperanti: escort, veline, donne che sembrano avere come unico obiettivo ingraziarsi il maschio più ricco e potente.
E conquistare così una visibilità e un ruolo per i quali non servono curriculum, impegno e neppure valori morali ma aspetto fisico e spregiudicatezza”.
Cinque righe lunghe una vita
Pubblicato: 14 giugno 2011 in comunicazione, personaggiTag:amici, giornalismo, Mantovani